Una volta qui c'erano solo campi

Ed era solo
100 anni fa

I vecchi milanesi (se ce ne sono ancora) lo dicono sempre quando parlano di certi quartieri che un tempo erano periferici e oggi non lo sono più. Di certo la cosa è vera per quello che oggi si chiama quartiere Stadera, nella zona Sud di Milano. Perché qui, fino al 1920 c’erano davvero solo campi. Campi, cascine e corsi d’acqua, anche sorgiva: la linea dei fontanili, le risorgive che portano in superficie l’acqua delle falde, è poco distante. Così come è poco distante il Gratosoglio, il gratum soli, che nel nome conserva il senso di una terra umida e feconda. Ma anche il Duomo – centro cittadino – non è poi così lontano: 4 km. Se vi va di farla a piedi in 40 minuti siete lì.
L’area dove sorge oggi il quartiere Stadera è diventata parte di Milano nel 1873: prima era parte del comune dei Corpi Santi, una cintura che abbracciava il centro di Milano, delimitato ancora dall’anello delle mura spagnole, dove si collocano le varie porte daziarie, visibili ancora oggi.
La vera svolta venne data dal piano regolatore Pavia-Masera, del 1912 che apriva all’urbanizzazione di molte aree periferiche.

La città cresceva, bisognava costruire. Tra il 1890 e il 1910 era passata da 400 mila a 600 mila abitanti e la corsa non accennava ad arrestarsi. Fu in seguito a questa spinta che venne realizzato il complesso di case popolari – disegnato dall’architetto Broglio e costruito dallo IACP, sotto il fascismo. Le case, da non molto ristrutturate, sono visibili percorrendo via Montegani, all’altezza degli incroci con via Barrilli e poi via Neera: ben 1886 alloggi, terminati nel 1928. Il Duce volle battezzare il nuovo quartiere “28 ottobre”, in memoria della marcia su Roma, ma gli abitanti, tutti operai, non erano d’accordo: lo chiamarono Baia del Re in memoria della spedizione di Umberto Nobile, partito il 23 maggio di quello stesso anno con il dirigibile Italia da Baggio alla volta del Polo Nord. Il nome era bello e suggestivo, ma dopo la guerra prevalse Stadera, derivato dalla cascina omonima che si trovava dove oggi è il palazzo denominato Residenze 900, al civico 14 di via Montegani,  un tempo edificio industriale. La stadera è una bilancia, proprio come quella che si trovava nella cascina e che serviva a pesare le merci che arrivavano con i barconi del Naviglio Pavese, poco distante.

Un excursus storico attraverso le mappe di Milano, dal 1906 a oggi. Nelle mappe del 1906 e del 1910 si vede come la Cascina Stadera si stagliasse ancora solitaria in mezzo ai campi. Dal 1920 l’area comincia a popolarsi di costruzioni.

È più o meno intorno agli anni ’20 del Novecento che Giovanni Ardemagni e poi i suoi figli, Carla e Peppino, iniziano la costruzione di quello che è oggi lo Spazio Stadera. Non c’è un progetto preciso, ma lo sviluppo è organico e procede per aggiunte e migliorie che si seguono per decenni. Sono capannoni adatti a ospitare la piccola impresa, il cuore pulsante della economia in espansione della città.

L’area è quella del blocco compreso tra via De Sanctis, Via Palmieri, via Montegani e via Isimbardi, là dove passava la roggia Scarpogna, oggi interrata. La si vede ancora in alcune vecchie foto, correre al fianco della scuola di Via Palmieri: oggi quell’area è occupata dagli orti scolastici, ma si nota ancora un ribassamento del suolo.
Originariamente la proprietà era circa il doppio di quella odierna: una parte fu ceduta da uno dei due fratelli Ardemagni per la costruzione di immobili ad uso abitativo che ormai circondano l’area. Il susseguirsi delle attività ospitate dai capannoni della famiglia Ardemagni accompagna la storia della trasformazione del tessuto sociale cittadino.

Alcune fonti dicono che all’inizio vi fosse un deposito di carbone che veniva scaricato dalle chiatte ormeggiate lungo l’alzaia Naviglio Pavese, in fondo a Via De Sanctis, e portato nei magazzini con carri trainati da cavalli che ivi venivano accuditi in apposite stalle. Da lì veniva poi distribuito nella zona sud di Milano.

Cessata l’attività di rimessaggio, gli spazi vennero gradualmente concessi in locazione e adeguati a favore di attività pesanti quali officine meccaniche e di lavorazione dei metalli. A partire dal dopoguerra arrivarono poi aziende di arti grafiche, stampaggio plastico di articoli religiosi, legatorie.

Spazio Stadera disegno degli anni '40 dell'edificio a fianco del civico 34 di Via De Sanctis.
Un vecchio disegno progettuale dell'edificio a fianco del civico 34 di Via De Sanctis.

È con la fine degli anni ’90 che l’area – che vien man mano ristrutturata negli spazi interni quanto in quelli esterni, sino ad assumere l’aspetto attuale – inizia a rispecchiare la trasformazione che coinvolge tutto il tessuto sociale e produttivo milanese, spostandosi dalla piccola e media impresa verso i servizi e il terziario avanzato. Le officine si trasformano in laboratori e atelier, gli spazi che accoglievano macchinari e attività produttive diventano luminosi e ampi show room o sale di posa; tutte attività che contribuiscono a mantenere il quartiere vivo, integrandosi nel territorio, qualificandolo.

Oggi gli edifici di Spazio Stadera – pur mantenendo la loro vocazione al lavoro e senza cedere alla tentazione di “loftizzare” e trasformarsi in abitazioni, magari di lusso – accolgono una varia e davvero eccellente rappresentanza di attività creative, quasi una sintesi di ciò in cui Milano eccelle nel mondo. Dalla moda al design, dalla fotografia e dalla produzione audio-visiva al web e alla pubblicità, senza dimenticare l’arte e l’alto artigianato.
I cortili e l’aspetto complessivo dell’area conservano però ancora tracce del passato e delle antiche destinazioni: lo ricordano le lastre di granito parallele sul selciato sulle quali passavano i carri, i grandi paranchi e gli anelli per legare i cavalli.

Spazio Stadera ha così assistito e partecipato all’evoluzione industriale, manifatturiera e tecnologica di Milano dagli anni ’20 a oggi, fedele al passato, aperta al futuro.

Alcune immagini  che mostrano l’aspetto dell’area Spazio Stadera negli anni ’60.